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L’Italia tornerà in Libia con molti mal di pancia?

Enrico Letta torna dal vertice G8 in Irlanda del Nord con una bella gatta da pelare. Barack Obama, in ossequio alla tradizionale alta considerazione che gli americani ripongono nella capacità delle istituzioni militari italiane (in particolare i Carabinieri) di farsi carico dell’addestramento e riorganizzazione delle forze di sicurezza in paesi appena usciti da gravi fasi di violenza, ha in pratica emanato i suoi “compiti a casa” all’alleato europeo.
Il significato simbolico e politico della richiesta di Obama è articolato e si può osservare da angolature diverse. In primo luogo, ovviamente, c’è la profonda conoscenza storica del popolo libico da parte dell’Italia, dovuta al periodo coloniale, quando lo Stato africano era diventato parte dei possedimenti italiani oltremare. Inoltre, la sfida lanciata da Obama all’Italia ha il sapore di un ben meditato ed opportuno stimolo nei confronti di un alleato, l’Italia, che a forza di continue lacerazioni politiche, economiche e sociali, crede ormai, a torto o a ragione, di aver smarrito del tutto anche le sue radicate capacità di operare come forza di pace all’estero al fine di riorganizzare gli apparati istituzionali e militari di questo o quel paese.
 È importante non sottovalutare l’apertura di Obama. Dalla guerra del Kosovo, al Golfo, all’Iraq post Saddam, al Libano, all’Afghanistan, i militari italiani all’estero si sono sempre distinti, nei confronti delle altre forze alleate occidentali, per un atteggiamento molto meno offensivo ed aggressivo, ma sensibilmente più attento al dialogo con la popolazione ed alla fattiva collaborazione con le nascenti istituzioni locali. A questo si aggiunge l’ormai comprovata capacità del nostro esercito e dei nostri Carabinieri, di effettuare efficaci campagne di formazione militare all’estero, nei confronti di corpi di sicurezza usciti allo sbando da periodi difficili.
 In questo caso la missione che gli Stati Uniti affidano all’Italia è duplice. Da una parte sarà compito dell’Italia fornire competenze e progetti per costruire nuove istituzioni civili, politiche e sociali che funzionino in Libia. E questo sarà compito dei molti giuristi, politologi ed economisti presenti nel nostro paese. Dall’altra, il nostro esercito ed i nostri Carabinieri saranno ancora una volta chiamati ad offrire il loro savoir faire per riorganizzare profondamente le forze di sicurezza del nuovo Stato Libico.
 Non sottovalutiamo questo incarico americano e prepariamoci a qualche protesta francese, in quanto proprio la Francia aveva per prima aperto le ostilità in Libia a sostegno dei ribelli durante la fine del regime di Geddafi, forse sperando di conquistarsi successivamente un ruolo di primo piano anche in campo economico.
 L’Italia, grazie a questa insperata ed inattesa apertura di Obama, ha la possibilità concreta di ricostruire le istituzioni libiche ed in un secondo tempo di far valere le sue capacità ed i suoi meriti anche in campo economico. Non sprechiamo questa occasione.
 Sul fronte interno inoltre, l’incarico americano punta a spingere ad un salto di maturità la nostra screditata e litigiosa classe politica, ad una nuova presa di coscienza nei confronti di un mondo che cambia, ma anche delle nuove opportunità che si aprono.
 Vedremo nei prossimi giorni se il messaggio importantissimo e di grande coraggio e maturità lanciato da Obama sarà colto a dovere. Lo misureremo in termini di coesione e unicità di intenti da parte del governo di larghe intese attualmente in carica.